E'
ufficiale! Pitti entra a pieno diritto nel mondo del cattivo gusto,
sostituendo spunti e ricerca ad ospitate di personaggi trash (Belen
Rodriguez, Boateng, Melissa Satta…).
Ed
è per noi mortificante pensare che chi ha in mano l' organizzazione
di un evento che si realizza in una location dal così alto impatto
storico, cada in bassezze del genere presentando come "evento" sfilate tragiche (le sfilate dei bambini restano per noi quanto di
più tragico ci sia…!), facendone tra l' altro unico segno di pregio, vanto e fierezza, trascurando nella comunicazione ai media la parte per noi più bella del
Pitti, New View ed Eco Ethic, che restano senza dubbio l' unico stimolo a partecipare!
Essendo
rimaste scottate dalle ultime inutili stagioni di Pitti, anche quest'
anno Moine ha scelto di fare la propria ricerca passando nottate on
line, parlando su skype con nuovi artigiani italiani e non, e
confrontandosi con altri "bottegai" assolutamente in
sintonia con il nostro mondo. Non ci sentiamo migliori di chi invece
premia Pitti, ma solo stranite dal fatto che una fiera attualmente
così poco vibrante continui in tempi di crisi (dove ogni errore torna indietro moltiplicato per 10!) a resistere, senza
rendersi conto del necessario e radicale bisogno di rinnovamento.
Ma la bigotteria di Moine prosegue con il vero disgusto nei confronti delle campagne pubblicitarie dei big brand. Nel modo di comunicare delle riviste di settore e dei franchising rivolti al segmento bambino, notiamo che emerge una nuova tendenza nella comunicazione che ecco, non ci piace molto. E scopriamo che ha anche un nome: TRANSTOYING. Transtoying è una parola che già solo a livello onomatopeico inquieta se si pensa che è rivolta anche al mondo dell' infanzia. Il transtoying è una "tecnica di approccio" utile a comunicare, in questo caso la moda, direttamente all' infanzia, condividendo il loro universo e impiegando codici di lettura in sintonia con i loro gusti all' unico evidente scopo di attrarre il bambino al brand, direttamente, senza passare attraverso l' adulto. Per cui se la tendenza del passato vedeva bambini trasformati in mini adulti, spesso rigidi e austeri e a volte anche con atteggiamenti pericolosamente erotizzati, ora la comunicazione cerca di attirare l' attenzione dei bambini utilizzando espedienti accattivanti (fondali di case delle bambole giganti in cui i baby modelli si trovano a muoversi, giocattoli di dimensioni maxi o gelati super pannosi...). Per i brand invece che si vendono come più "attenti ed etici" ecco che a farla da padrone saranno i prati + bambini che corrono e giocano. I portavoce e pr dei brand che scelgono questa strada ci spiegheranno che hanno preferito mostrare la vera natura dei bambini senza forzature, liberi di correre all' aria aperta.
Pare che questo sia il mercato del futuro, quello in cui gli sforzi del' impresa sono orientati a conquistare i consumatori in tenera età e a noi pare che Pitti Bimbo attualmente sostenga molto questo modo di proporre il childrenswear al pubblico.
Niente...
bastano queste motivazioni a spiegare perché abbiamo detto no a
Pitti Bimbo?
Il Comune di Milano con Terres des Hommes e riprendendo la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo ha scritto una carta etica contro le strumentalizzazioni dei bambini nelle campagne comuincative. La puoi leggere QUI.